Brusco risveglio
Quando ho riaperto gli occhi ero sdraiata in un letto. Alla mia sinistra una veranda con una grande finestra che riversava luce nell’intera stanza. Alla mia destra un comodino e un divanetto con grossi cuscini ricoperti di lana a strisce beige e neri, molto anni settanta. Cinguettio di uccellini nell’aria. Una sveglia sul comodino stava squillando, forse da un po’. L’avevo spenta ed ero scattata a sedere sul letto: quella era la casa dei miei, dove avevo vissuto fino ai 25 anni. Però a 25 anni avevo cambiato città e quando ero caduta, fino a prova contraria, ero vicino la mia casa attuale.
Che cavolo ci facevo lì?
Oddio, vuoi vedere che ero stata così male da dover essere rispedita dai miei?
Forse ero entrata in coma e adesso mi stavo risvegliando?
Forse mi avevano riscontrato una lesione cerebrale che non mi aveva dato scampo?
E Marco? Magari era stato il mio fidanzato a portarmi lì e adesso era da qualche parte ad aspettare il mio risveglio o a piangere la mia triste sorte?
E... OH, NO! I gatti? I miei adorati, piccoli, deliziosi, dolcissimi gatti, luce dei miei occhi? Chi pensava a loro? Dov’erano? Non erano mica stati abbandonati, o finiti in gattile, o fatto chissà che brutta fine? Dovevo sentire qualcuno immediatamente, così notando un paio di jeans ripiegati sul divano, ero corsa a cercarvi freneticamente il cellulare, che porto sempre in tasca. Inutilmente: non c’era alcun cellulare!
Certo, naturale, l’avranno messo altrove quando mi hanno spogliata! Di fatto ero in camicia da notte, una camicia di cotone celeste decorata con fiorellini tono-su-tono.
Buffo, ne avevo una identica tanto tempo fa.
L’ansia mi fece star male. Sempre così: qualunque sia il malanno che mi prende il mio organismo reagisce in un unico modo. Vomitando.
Mentre correvo in bagno mi balzò agli occhi un fatto curioso. La tappezzeria della mia stanza era diversa dal solito. Lo so bene, sono stata lì per Natale solo due mesi fa. Me lo ricordo perfettamente, nel 1984 l’avevamo cambiata mettendone una completamente bianca, molto luminosa. Evidentemente in due mesi di assenza doveva essere stata sostituita di nuovo perché adesso ce n’era una color ocra con degli orribili disegni di gigli stampati, proprio come quella che c’era prima.
Sempre che fossero passati davvero due mesi. Chissà quanto tempo ero stata ko. Anni, magari.
Altra curiosa sensazione, mi pareva di essere più bassa o che i mobili del bagno si fossero ingranditi. Poco, appena qualche centimetro. Dovevano essere i postumi del malanno che avevo avuto, come quando ci si alza dopo un’influenza durata a lungo e ci si sente con tutte le misure sballate.
Ma il peggio doveva ancora venire. Dopo aver vomitato l’anima ero andata a sciacquarmi la faccia e quel che avevo visto nello specchio non mi era piaciuto per niente. Oltre all’orrendo brufolo che troneggiava sul mio naso, c’era tutta la faccia intorno che aveva un nonsoché di diverso. I capelli erano diversi. Tutto il corpo era diverso. Mi guardai nello scollo della camicia da notte e...
“Madovecacchiosonolemietette?”, strillai raccapricciata.
Non per vantarmi, ma io da tempo porto una discreta terza di reggiseno. Quello che vedevo adesso a malapena raggiungeva la prima! Vuoi vedere che me le avevano tolte mentre stavo male?
Non feci in tempo a pensare ad altre soluzioni perché in quell’istante qualcuno venne a bussare alla porta del bagno.
“Roby?”, mi disse una voce soave.
Era mia mamma.
Meno male, lei sarebbe stata in grado di darmi chiarimenti. Stavo per uscire a chiedere spiegazioni ma lei continuò: “Roby, sei già sveglia? Dai, vieni a fare colazione e sbrigati, per piacere, che fra un po’ tu devi andare a scuola e io devo andare a lavoro!”
Quale scuola? Quale lavoro? Ma se è da quasi vent’anni anni che non vado più a scuola (se escludo l’ultimo corso di aggiornamento professionale sei anni fa). Ed è da sei anni che mia mamma è in pensione.
Qui stava succedendo qualcosa di strano, molto strano, troppo, esageratamente strano. Le gambe cominciavano a tremarmi. Mi sedetti, sudando freddo, sul coperchio del water e il mio sguardo sfiorò il calendario, appeso sulla parete accanto.
Ci tornò.
Ci balzò sopra e poi si incollò incredulo a quel pezzo di carta patinata A4 dall’aria così fintamente innocente. Sopra c’era la foto di due deliziosi gattini e sotto la pagina del mese in corso.
C’era scritto Febbraio 1982.
Non so come mai, ma in quel momento mi tornò da vomitare.
Che cavolo ci facevo lì?
Oddio, vuoi vedere che ero stata così male da dover essere rispedita dai miei?
Forse ero entrata in coma e adesso mi stavo risvegliando?
Forse mi avevano riscontrato una lesione cerebrale che non mi aveva dato scampo?
E Marco? Magari era stato il mio fidanzato a portarmi lì e adesso era da qualche parte ad aspettare il mio risveglio o a piangere la mia triste sorte?
E... OH, NO! I gatti? I miei adorati, piccoli, deliziosi, dolcissimi gatti, luce dei miei occhi? Chi pensava a loro? Dov’erano? Non erano mica stati abbandonati, o finiti in gattile, o fatto chissà che brutta fine? Dovevo sentire qualcuno immediatamente, così notando un paio di jeans ripiegati sul divano, ero corsa a cercarvi freneticamente il cellulare, che porto sempre in tasca. Inutilmente: non c’era alcun cellulare!
Certo, naturale, l’avranno messo altrove quando mi hanno spogliata! Di fatto ero in camicia da notte, una camicia di cotone celeste decorata con fiorellini tono-su-tono.
Buffo, ne avevo una identica tanto tempo fa.
L’ansia mi fece star male. Sempre così: qualunque sia il malanno che mi prende il mio organismo reagisce in un unico modo. Vomitando.
Mentre correvo in bagno mi balzò agli occhi un fatto curioso. La tappezzeria della mia stanza era diversa dal solito. Lo so bene, sono stata lì per Natale solo due mesi fa. Me lo ricordo perfettamente, nel 1984 l’avevamo cambiata mettendone una completamente bianca, molto luminosa. Evidentemente in due mesi di assenza doveva essere stata sostituita di nuovo perché adesso ce n’era una color ocra con degli orribili disegni di gigli stampati, proprio come quella che c’era prima.
Sempre che fossero passati davvero due mesi. Chissà quanto tempo ero stata ko. Anni, magari.
Altra curiosa sensazione, mi pareva di essere più bassa o che i mobili del bagno si fossero ingranditi. Poco, appena qualche centimetro. Dovevano essere i postumi del malanno che avevo avuto, come quando ci si alza dopo un’influenza durata a lungo e ci si sente con tutte le misure sballate.
Ma il peggio doveva ancora venire. Dopo aver vomitato l’anima ero andata a sciacquarmi la faccia e quel che avevo visto nello specchio non mi era piaciuto per niente. Oltre all’orrendo brufolo che troneggiava sul mio naso, c’era tutta la faccia intorno che aveva un nonsoché di diverso. I capelli erano diversi. Tutto il corpo era diverso. Mi guardai nello scollo della camicia da notte e...
“Madovecacchiosonolemietette?”, strillai raccapricciata.
Non per vantarmi, ma io da tempo porto una discreta terza di reggiseno. Quello che vedevo adesso a malapena raggiungeva la prima! Vuoi vedere che me le avevano tolte mentre stavo male?
Non feci in tempo a pensare ad altre soluzioni perché in quell’istante qualcuno venne a bussare alla porta del bagno.
“Roby?”, mi disse una voce soave.
Era mia mamma.
Meno male, lei sarebbe stata in grado di darmi chiarimenti. Stavo per uscire a chiedere spiegazioni ma lei continuò: “Roby, sei già sveglia? Dai, vieni a fare colazione e sbrigati, per piacere, che fra un po’ tu devi andare a scuola e io devo andare a lavoro!”
Quale scuola? Quale lavoro? Ma se è da quasi vent’anni anni che non vado più a scuola (se escludo l’ultimo corso di aggiornamento professionale sei anni fa). Ed è da sei anni che mia mamma è in pensione.
Qui stava succedendo qualcosa di strano, molto strano, troppo, esageratamente strano. Le gambe cominciavano a tremarmi. Mi sedetti, sudando freddo, sul coperchio del water e il mio sguardo sfiorò il calendario, appeso sulla parete accanto.
Ci tornò.
Ci balzò sopra e poi si incollò incredulo a quel pezzo di carta patinata A4 dall’aria così fintamente innocente. Sopra c’era la foto di due deliziosi gattini e sotto la pagina del mese in corso.
C’era scritto Febbraio 1982.
Non so come mai, ma in quel momento mi tornò da vomitare.
Etichette: anni Ottanta, bruschi risvegli, calendario 1982, gattini
0 Commenti:
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page