ottanta2mila

sabato 16 febbraio 2008

Brusco risveglio

Quando ho riaperto gli occhi ero sdraiata in un letto. Alla mia sinistra una veranda con una grande finestra che riversava luce nell’intera stanza. Alla mia destra un comodino e un divanetto con grossi cuscini ricoperti di lana a strisce beige e neri, molto anni settanta. Cinguettio di uccellini nell’aria. Una sveglia sul comodino stava squillando, forse da un po’. L’avevo spenta ed ero scattata a sedere sul letto: quella era la casa dei miei, dove avevo vissuto fino ai 25 anni. Però a 25 anni avevo cambiato città e quando ero caduta, fino a prova contraria, ero vicino la mia casa attuale.
Che cavolo ci facevo lì?
Oddio, vuoi vedere che ero stata così male da dover essere rispedita dai miei?
Forse ero entrata in coma e adesso mi stavo risvegliando?
Forse mi avevano riscontrato una lesione cerebrale che non mi aveva dato scampo?
E Marco? Magari era stato il mio fidanzato a portarmi lì e adesso era da qualche parte ad aspettare il mio risveglio o a piangere la mia triste sorte?
E... OH, NO! I gatti? I miei adorati, piccoli, deliziosi, dolcissimi gatti, luce dei miei occhi? Chi pensava a loro? Dov’erano? Non erano mica stati abbandonati, o finiti in gattile, o fatto chissà che brutta fine? Dovevo sentire qualcuno immediatamente, così notando un paio di jeans ripiegati sul divano, ero corsa a cercarvi freneticamente il cellulare, che porto sempre in tasca. Inutilmente: non c’era alcun cellulare!
Certo, naturale, l’avranno messo altrove quando mi hanno spogliata! Di fatto ero in camicia da notte, una camicia di cotone celeste decorata con fiorellini tono-su-tono.
Buffo, ne avevo una identica tanto tempo fa.
L’ansia mi fece star male. Sempre così: qualunque sia il malanno che mi prende il mio organismo reagisce in un unico modo. Vomitando.
Mentre correvo in bagno mi balzò agli occhi un fatto curioso. La tappezzeria della mia stanza era diversa dal solito. Lo so bene, sono stata lì per Natale solo due mesi fa. Me lo ricordo perfettamente, nel 1984 l’avevamo cambiata mettendone una completamente bianca, molto luminosa. Evidentemente in due mesi di assenza doveva essere stata sostituita di nuovo perché adesso ce n’era una color ocra con degli orribili disegni di gigli stampati, proprio come quella che c’era prima.
Sempre che fossero passati davvero due mesi. Chissà quanto tempo ero stata ko. Anni, magari.
Altra curiosa sensazione, mi pareva di essere più bassa o che i mobili del bagno si fossero ingranditi. Poco, appena qualche centimetro. Dovevano essere i postumi del malanno che avevo avuto, come quando ci si alza dopo un’influenza durata a lungo e ci si sente con tutte le misure sballate.
Ma il peggio doveva ancora venire. Dopo aver vomitato l’anima ero andata a sciacquarmi la faccia e quel che avevo visto nello specchio non mi era piaciuto per niente. Oltre all’orrendo brufolo che troneggiava sul mio naso, c’era tutta la faccia intorno che aveva un nonsoché di diverso. I capelli erano diversi. Tutto il corpo era diverso. Mi guardai nello scollo della camicia da notte e...
“Madovecacchiosonolemietette?”, strillai raccapricciata.
Non per vantarmi, ma io da tempo porto una discreta terza di reggiseno. Quello che vedevo adesso a malapena raggiungeva la prima! Vuoi vedere che me le avevano tolte mentre stavo male?
Non feci in tempo a pensare ad altre soluzioni perché in quell’istante qualcuno venne a bussare alla porta del bagno.
“Roby?”, mi disse una voce soave.
Era mia mamma.
Meno male, lei sarebbe stata in grado di darmi chiarimenti. Stavo per uscire a chiedere spiegazioni ma lei continuò: “Roby, sei già sveglia? Dai, vieni a fare colazione e sbrigati, per piacere, che fra un po’ tu devi andare a scuola e io devo andare a lavoro!”
Quale scuola? Quale lavoro? Ma se è da quasi vent’anni anni che non vado più a scuola (se escludo l’ultimo corso di aggiornamento professionale sei anni fa). Ed è da sei anni che mia mamma è in pensione.
Qui stava succedendo qualcosa di strano, molto strano, troppo, esageratamente strano. Le gambe cominciavano a tremarmi. Mi sedetti, sudando freddo, sul coperchio del water e il mio sguardo sfiorò il calendario, appeso sulla parete accanto.
Ci tornò.
Ci balzò sopra e poi si incollò incredulo a quel pezzo di carta patinata A4 dall’aria così fintamente innocente. Sopra c’era la foto di due deliziosi gattini e sotto la pagina del mese in corso.
C’era scritto Febbraio 1982.
Non so come mai, ma in quel momento mi tornò da vomitare.

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venerdì 15 febbraio 2008

ottanta2mila

Eccomi qua!
Non chiedetemi come abbia fatto a finire qui. Non chiedetemelo perché non lo so e non voglio saperlo. Voglio solo sapere coma fare a venirne fuori.
Se questo è un incubo non mi piace per niente. Se è uno scherzo, idem. Posso ammettere che sia qualunque cosa, ma non la realtà. Avanti, è assurdo. Dopotutto siamo nel 21° secolo... almeno lo ero fino a stamattina!
No, no, probabilmente questo non è l’atteggiamento migliore. Forse la cosa migliore da fare è calmarsi. Oh, sì, prendere un bel respiro profondo, chiudere gli occhi, riaprirli e... accidenti, sono ancora qui?
Ricominciamo daccapo e facciamo il punto della situazione.
Chi sono?
Il mio nome è Roberta. Ho (quasi) trentotto anni. Vivo col mio compagno e scrivo articoli e storielle su giornali per bambini. È il mio lavoro, sapete? Guadagno. Non bene ma guadagno. Ho due gatti. E un conto in banca. Ho un computer e navigo in internet. Internet, capito? Roba moderna. Adsl, http, blog, cose del genere. Ho perfino un cellulare. O, meglio, l’avevo. Ma che dico? Ce l’ho ancora, certo che ce l’ho. No, non devo lasciarmi trascinare dall’isteria. Continuo. Con calma, con calma. Un bel respiro, su. Ce la posso fare!
Allora ammetto, negli ultimi giorni ero un po’ scontenta. Molto scontenta. Ok, ero incavolata nera. Stress (ma chi non è stressato di questi... quei tempi?), tanto lavoro e gratificazioni poche o nulle. In più sono rimasta al verde per un casino successo con il mio conto in banca. In pratica chi doveva pagarmi ha sbagliato numero, i soldi sono finiti altrove e io dovrò aspettare chissà quanti giorni (anzi, ora che son qui chissà quanti anni?) per avere quanto dovutomi. Ero isterica, mi sembrava che nulla nella mia vita filasse per il verso giusto. Alla mia bella età mi pare ancora di dover vivere alla giornata, senza poter fare un minimo progetto per il futuro. E non vogliamo contare che per il lavoro è già due anni (due, dico, due anni interi, ventiquattro mesi e forse più) che non mi prendo una vacanza? Non me lo merito anch’io di starmene un po’ tranquilla senza temere ogni volta “oddio, mi pagheranno domani? Avrò di che sfamare i miei gatti?”
Insomma, è (o era? o sarà? chi lo sa?) un periodo un po’ così. Bruttino, diciamolo.
E sì che da ragazzina i miei progetti erano ben diversi. A quest’ora sarei già dovuta essere bella che sistemata, con una casa di proprietà, libri pubblicati e possibilmente una scuderia con un cavallo. Nero, come Furia.
Ed è pensando a queste cose che mi sono lasciata trascinare dall’ondata nostalgica, sono andata a frugare tra i miei cimeli “di gioventù” e ho ritrovato uno dei miei vecchi diari, il primo, per l’esattezza.
Rilegato in stoffa bianca, con su stampata l’immagina di una romantica fanciulla che medita stringendo una foglia morta tra le dita, drappeggiata in un vestito candido e con in testa un fiocco d’un azzurro delicato. Nell’angolo in alto un dolcissimo scoiattolino si arrampica su un ramo ed è ripetuto, sempre identico, in ogni pagina del diario. Ho cominciato a sfogliarlo con sempre maggior rimpianto.
Sulla prima pagina c’è scritto il mio nome circondato di stelline dorate, e un disegno fatto a penna di una stortissima Holly Hobbie.
Nella pagina seguente la mia prima annotazione, con tanto di data: venerdì 11 dicembre 1981. Avevo undici anni ma andavo per i dodici!
Bella la vita allora, vero? Solo sogni e zero problemi. Andavo a scuola, telefonavo alle amiche, portavo a spasso il cane, scrivevo sul diario, non avevo conti in banca da riempire, non avevo il problema degli euro mancanti (in effetti l’euro non c’era ancora), non avevo lavori da consegnare con urgenza, non avevo problemi di dieta... insomma, una pacchia. Le pagine del diario erano piene di appunti sulle prime cotte, sulle prime feste, sulle canzoni preferite o su quello che mi sarei messa l’indomani. Sui diari attuali invece c’erano sempre più spesso annotazioni quali “Sono ancora al verde” o “accidenti, mi è arrivata di nuovo la bolletta del telefono” oppure “Help!!!! Devo scrivere un articolo sul Natale e non so da dove cominciare!!!!”
Bella differenza, no?
Ma nel mio primo diario non c’erano solo annotazioni simpatiche, c’era tutto un mondo diverso. Disegni ripassati con pennarelli d’oro, cuoricini rosa, fiocchi portati via da doni e incollati tra le pagine, foto di gattini ritagliati dalle riviste, dediche delle amiche del cuore e così via. Il diario attuale aveva su scontrini e ricevute di pagamento. Molto più grigio.
Ho cominciato a pensare: “oh che bello sarebbe poter tornare indietro e ricominciare tutto daccapo!”
Come disse quel tale? Attento a ciò che desideri, potrebbe realizzarsi?
Ecco.
Ma procediamo con ordine (l’ho già detto?) e non permettiamo al panico di prendere il sopravvento.
Io ho sempre tenuto un diario personale. Sempre. All’inizio ho cominciato perché era una cosa di moda e mi sembrava brutto essere l’unica tra le mie amiche a non averne uno. Non che ci scrivessi veramente tutto. Soprattutto nei primi tempi non tutto quello che pensavo davvero. Questo perché ero rimasta scottata da un episodio. Quando il mio primo diario era ancora quasi nuovo, ed era da poco che lo compilavo, avevamo avuto ospiti i miei zii. Un giorno io avevo lasciato il diario incustodito, mia zia l’aveva trovato e si era messa a leggerlo. Non l’aveva fatto per cattiveria, per lei ero solo una bambina e le pareva più che normale poterci guardare dentro (io poi non è che avessi chissà che segreti). Tant’è che dopo averlo letto era arrivata in salotto sventolando il mio diario ed esclamando: “ma guardate che cose carine ha scritto Roby!” Questo percché avevo scritto che ero contenta di rivedere i miei zii e cugini per Natale.
Roba da poco, non avevano sicuramente scoperto il più oscuro segreto della mia vita (all’epoca, poi, il mio segreto più vergognoso era che detestavo la cocacola... esattamente come oggi!), ma per me era bastato. Era stata un’intrusione nella mia privacy, qualcosa che mi aveva ferito.
E anche se zia mi aveva chiesto scusa e aveva giurato che mai più avrebbe preso in mano il mio diario senza permesso, io ormai non mi fidavo più e cominciai a fare molta attenzione a ciò che scrivevo. Insomma, a scrivere sapendo che ci sarebbero stati dei lettori e quindi limitando molto la mia spontaneità.
Ma non la grammatica, perché a riguardarlo oggi (domani?) quel diario mi pare un’accozzaglia di errori.
Ma non è questo il punto. Il punto è che da allora in poi non ho mai smesso di scrivere su un diario.
Un po’ perché mi divertiva e un po’ per ricordarmi la mia vita. Quante memorie avrei perso se non le avessi annotate puntualmente nel diario? E poi è bello scrivere sul diario “ora mi trovo qui, a pensare questo e a fare queste cose” e immaginare: “chissà fra tre anni dove sarò?” Come pure è bello aprire un vecchio diario e leggere dov’ero, cosa facevo, cosa pensavo, magari quello stesso istante ma di dieci anni prima. Sì, confesso, sono una fan dei diarii. Qualche anno fa avevo perfino una rubrica tutta mia dedicata solo ai diarii. E piaceva tanto, eh!
Ed è così che tutto è cominciato, dal diario. O almeno credo.
Ieri sera ero a casa, abbiamo cenato (risotto agli asparagi in busta e vino rosso Chianti doc, visto che me lo ricordo?), il mio compagno ha acceso la TV, io mi sono messa a coccolare i gatti, mi sono accesa una sigaretta e ho cominciato a scrivere sul diario. E poi ho riletto il primo e l’ho confrontato con l’ultimo, traendo le mie conclusioni.
Infauste conclusioni, perché ci pensavo ancora stamattina, mentre facevo il bucato o scaricavo le e-mail (altra roba moderna, sottolineo: le e-mail. Io ho anche ben tre caselle e-mail! E un sito sui gatti!).
Ci pensavo anche mentre uscivo di casa per andare in banca a vedere se per caso mi avessero versato il mio tanto sospirato stipendio (quello che sarebbe dovuto arrivarmi un mese prima). Nulla di nulla. Saldo totale: 4 euro e trenta!
Infuriata come una biscia, mi sono voltata indietro facendo una pernacchia al bancomat. Avevo una sola idea in mente: correre a casa per fare un’acidissima telefonata di protesta a chi di dovere. Ma qualcosa dev’essere andata storta. Il mio piede destro, per l’esattezza, che non ha fatto caso a un tombino sporgente e ci è miseramente incespicato su.
Il resto, buio.
Sarò svenuta, o morta, o precipitata nel delirio.
Fatto sta che quando mi sono risvegliata ero qui.
Molto, troppo lontana da dove sarei dovuta essere!


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